sabato 28 dicembre 2013

Perché dovrei affliggermi ora (3)


continua dal post del 8 ottobre.
Questa è una trascrizione di un discorso tenuto a Poona da Osho Rajneesh nel 1976: "Perché dovrei affliggermi ora?"


Questa è la storia della mente umana e di come è fatta. Tu crei intorno a te un mondo di illusioni. Continui ad attaccarti a cose che non verranno con te, dopo la tua morte. Continui a identificarti con cose che ti verranno portate via.
Per questo gli hindu definiscono "illusione" il mondo: con la parola mondo non intendono il mondo in sé, ma semplicemente il mondo che tu ti sei creato nel sonno. Quel mondo è "maya", illusione. E' un mondo di sogno.

Chi è "tua moglie"? L'idea stessa è folle! Chi è "tuo marito"? Chi è "tuo figlio"? Essi non ti appartengono, nessuno può essere una tua proprietà. Neppure tu appartieni a te stesso, come può appartenerti qualcun altro? Non possiedi nemmeno te stesso, non lo hai notato? Anche tu appartieni a un'esistenza sconosciuta di cui non hai ancora penetrato il mistero.

Scendendo sempre più in profondità in te stesso, arriverai a un punto in cui perfino il "sé" scomparirà. Esisterà solo una dimensione di non sé, se preferisci lo puoi chiamare il Sè supremo. Cambia solo il linguaggio, la terminologia.

Non hai mai visto sorgere dal profondo di te stesso cose che non ti appartengono? I tuoi desideri non ti appartengono, né ti appartengono i tuoi pensieri. Neppure la tua consapevolezza è una tua creazione, ti è stata data, è un dato di fatto. Non sei tu che la crei, come potresti?

All'improvviso ti trovi a esistere... accade tutto per magia. Tu sei sempre nel mezzo, non conosci l'inizio. L'inizio non ti appartiene, né ti appartiene la fine. Solo nel mezzo puoi creare qualcosa, puoi continuare a creare dei sogni. Ed è così che l'uomo diventa accidentale.

Stai attento! Cerca di essere sempre più essenziale e sempre meno accidentale. Ricordati sempre che solo ciò che è eterno è vero, solo ciò che esiste da sempre e per sempre è verità. Tutto ciò che è momentaneo è falso. Ciò che è momentaneo deve solo essere osservato, non ci si deve identificare.

Ho letto un bellissimo aneddoto: un vecchio irlandese aveva appena lasciato la sua stanza d'albergo, ma era quasi arrivato alla fermata dell'autobus, quando si accorse di aver dimenticato l'ombrello nella stanza. Nel frattempo, però, la stanza era già stata affittata a una coppia di sposini. L'uomo salì comunque, ma non volendo essere importuno, si inginocchiò fuori dalla porta e si mise a origliare dal buco della serratura, per vedere cosa stessero facendo i due novelli sposi.
"Di chi sono questi occhi adorabili, mia cara?" sentì chiedere da una voce maschile. "Sono tuoi, amore mio," rispose una voce di donna. "E di chi è questo bel nasino?" proseguì l'uomo, con voce sempre più seducente. "E' tutto tuo, amore," rispose la donna. "E di chi sono queste labbra meravigliose?" continuò l'uomo. "Sono solo tue!" sospirò la donna. "E di chi è..." ma a quel punto l'irlandese non riuscì più a trattenersi. Appoggiò le labbra al buco della serratura e gridò: "Quando arrivate a un ombrello a quadri gialli, ricordatevi che quello è mio!"

Questo gioco del "mio" è il gioco più assurdo che esista, ma purtroppo la vita si riduce tutta a questo gioco. Questa terra esisteva ben prima che ti ci arrivassi, e sarà ancora qui quando tu te ne sarai andato. I diamanti che possiedi erano qui ben prima che arrivassi tu, e quando te ne sarai andato quei diamanti resteranno qui, e non ti ricorderanno neppure. Nemmeno lo sanno che sei tu a possederli.
Questo gioco del possesso è il gioco più stupido che esista, è il gioco più folle che si possa fare, ma è anche il solo gioco che fanno tutti.

Gurdjieff diceva che se inizi a non essere identificato con le cose, prima o poi incontrerai il tuo essere essenziale. Questo è il vero significato della rinuncia. La rinuncia, o la scelta del sannyas, non significano rinunciare al mondo e salire sull'Himalaya o in un monastero, non cambia nulla. Porterai con te la stessa vecchia mente.

Qui nel mondo avevi la tua casa, tua moglie; là avrai il tuo monastero, la tua religione. Non farà molta differenza. Il concetto di "mio" persiste. 
E' un'attitudine mentale, non ha nulla a che vedere con luoghi e spazi esterni. E' un'illusione interiore, un sogno interiore, un sonno interiore.

"Rinuncia" significa che ovunque tu sia, non hai bisogno di rinunciare a qualcosa, perché, di fondo, nulla è mai stato tuo! E' folle parlare di rinuncia. Questo presupporrebbe che tu prima abbia posseduto delle cose a cui ora rinunci. Ma come puoi rinunciare a qualcosa che non hai mai posseduto?

"Rinunciare" per me significa arrivare a capire che non puoi possedere nulla, in realtà. Al massimo puoi usare le cose, ma non le puoi possedere. Non sarai qui per sempre, come puoi possedere qualcosa? E' semplicemente impossibile. Puoi usare le cose e provare gratitudine perché ti è possibile farlo. Esse saranno degli strumenti ma non le potrai mai possedere.
Rinunciare all'idea del possesso è la vera rinuncia. Rinunciare non significa abbandonare i tuoi possessi, ma la tua possessività. Ed è questo che Gurdjieff definisce "disidentificarsi". E' questo che i mistici baul chiamano la realizzazione dell'Adhar manus, dell'uomo essenziale. Ed è questo che lo Zen definisce "il volto originale".

Esiste una storiella taoista molto famosa, che io amo immensamente. Narra di un vecchio contadino taoista a cui era scappato il cavallo. Quella sera i suoi vicini di casa andarono a trovarlo, per consolarlo della sua malasorte. Egli disse solo: "Forse". Il giorno dopo il cavallo tornò a casa, tirandosi dietro sei puledri selvaggi, al che i vicini tornarono per felicitarsi della sua buona sorte. Egli disse solo "Forse". Il giorno seguente suo figlio, mentre tentava di cavalcare uno dei puledri selvaggi, per domarlo, fu gettato a terra e si spezzò una gamba. Di nuovo, i vicini tornarono, per consolarlo della sua sfortuna. Egli disse solo "Forse". Il giorno dopo giunsero al villaggio degli ufficiali in cerca di giovani da arruolare nell'esercito, ma il figlio del contadino, a causa della gamba rotta, fu scartato. Quando i vicino tornarono un'altra volta, per dirgli come, dopo tutto, era fortunato, egli disse solo: "Forse".

continua in Perché dovrei affliggermi ora? (4)